Thursday, March 9, 2023

Denaro falso di Tolstoy #9

Lista dei personaggi in ordine di apparizione:

Vasìlij: entra ed esce di prigione per furto. Dopo una vita da rapinatore ha trovato finalmente la retta via e sebbene continui a rubare, dona i soldi ai bisognosi.

Misaìl: ora fa il prete, ma prima sotto nome di Michaìl Vvedjèskij era professore di religione al ginnasio.

Prokòfij Nikolàjevič: era un operaio di Pjotr Nikolàjevič. Pjotr era sicuro che fosse stato Prokòfij a rubargli i cavalli e lo fece arrestare per furto: Prokòfij non avevo rubato i cavalli, ma non era nemmeno un lavoratore onesto. Il carcere però lo rovina a livello mentale e spirituale.

Stjepàn Pelaghèjuskin: dopo un passato turbolento da serial killer, ha messo la testa a posto. È ancora in prigione, ma è felice perché finalmente in pace con se stesso.

Zènja Jevghènij Michajlovič: proprietario del negozio di fotografia e cornici dove era stata messa in circolazione la cedola falsificata.

Mìtja Smokòvnikov: il ragazzo che da studente aveva avuto bisogno di soldi per ripagare un amico e con l’aiuto di Màchin (ai tempi suo coetaneo) mette in circolazione una cedola falsa.

Riassunto: capitoli 1-4, capitoli 5-8, capitoli 9-12, capitoli 13-16, capitoli 17-20, capitoli 21-2 (parte seconda), capitoli 3-6 (parte seconda), capitoli 7-12 (parte seconda), capitoli 13-20 (parteseconda)).

13

Intanto Vasìlij ruba ai ricchi per dare ai poveri. Ha anche rubato 30.000 rubli da un riccone di nome Krasnopùzov. Inoltre ha smesso di bere! I soldi rubati li usa per pagare i debiti dei poveri, per dare una dote alle ragazze povere in età da marito. Corrompe anche la polizia così che lo lascino stare.

Il suo cuore era lieto. E quando pur tuttavia lo presero, nel giudizio fu ardito e si vantò dicendo che i denari giacevano malamente presso quel panciuto: “Non ne sapeva neppur lui l’ammontare e invece io li ho messi in circolazione e con essi ho aiutato della brava gente”.

Viene arrestato ugualmente e condannato all’esilio. Vasìlij ringrazia e annuncia che fuggirà.

14

Il telegramma della Sventìtskaja (la moglie del defunto Piotr) allo zar non ha nessun effetto. Infatti a colazione il presidente racconta all’Imperatore tutta la storia e questi sospira e risponde: “La legge”. Tutti rimangono stupiti di fronte alla saggezza racchiusa nella parola dell’imperatore. E con ciò la questione si considera conclusa.

I condannati furono impiccati da un boia (anche lui un assassino) venuto da Kazàgn.

A corte viene invitato un predicatore dalla fama straordinaria: il monaco Isidoro.

Quando Isidoro arriva e tiene il suo sermone, gli ascoltatori capiscono di aver fatto un errore terribile.

Nella cappella del palazzo si riunirono tutti i generali. Un nuovo e straordinario predicatore era un avvenimento.

Comparve un vecchietto grigio, magro, guardò tutti in giro: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, e cominciò. Tuonava contro tutti. Parlò della pena di morte. E attribuiva la necessità della pena di morte a un cattivo governo. Possibile che in un paese cristiano si debba uccidere la gente?

Finito il sermone, Isidoro fu subito rimandato al monastero, ma non al suo, bensì a quello di Suzdàl, dove è superiore padre Misaìl.

15

Allo zar sembra che le parole del monaco non abbiamo lasciato nessuna traccia, ma due volte durante il giorno si ritrova a pensare all’esecuzione dei due contadini e alla richiesta di grazia, tuttavia non fa nulla.

Le parole del predicatore non lo lasciano però e così quella notte fa un terribile sogno:

In un campo c’erano delle forche e da esse pendevano dei cadaveri, e i cadaveri tiravano fuori le lingue che si allungavano sempre più, sempre più. E qualcheduno gridava: “È opera tua, è opera tua”. Lo zar si destò in sudore e si mise a pensare. Per la prima volta pensò alla responsabilità che incombeva su di lui, e tutte le parole del vecchio gli tornarono in mente...

Ma non vedeva in sé l’uomo che da lontano, e non poteva obbedire alle semplici esigenze dell’uomo, per via delle esigenze che da ogni parte erano imposte allo zar; di riconoscere che il dovere dell’uomo era più impellente che il dovere dello zar non gli bastava la forza.

16

Dopo aver espiato in carcere la seconda condanna, Prokòfij, se ne torna a casa dal padre. Passa le giornate ubriacandosi. Una sera non trovando nemmeno una goccia d’alcohol in casa  decide di uscire e trova davanti alla casa dei preti un erpice (macchina agricola che si attacca al trattore, anche chiamata frangizolle). Decide di rubarla e rivenderla per potersi comprare da bere. Ma viene catturato subito e condannato a 11 mesi di carcere.

Arriva l’autunno e arriva il freddo. Prokòfij finisce in ospedale. Ha una forte tosse e trema dal freddo, non riesce a scaldarsi (soprattutto perché il riscaldamento è tenuto spento fino a novembre).

Prokòfij odia tutti, soprattutto se stesso. Odia anche il suo compagno di stanza: Stjepàn (che è lì per un’erisipola alla testa). Da principio Prokòfij l’odiava, ma poi si mise ad amarlo tanto che non aspettava altro che di poter parlare con lui. Solamente dopo aver discorso con lui, l’angoscia si quietava nel cuore di Prokòfij.

Stjepàn gli parla di Dio, della misericordia, dell’espiazione delle colpe, del perdono. E più Stjepàn parla e più Prokòfij si sente leggero e pronto per il trapasso.

— Dunque, fratello, addio. Si vede che è venuta la morte per me. Avevo paura, e adesso non più.

E Prokòfij morì all’ospedale.

17

Intanto gli affari di Jevghènij Michàjlovic vanno di male in peggio e si vede costretto a vendere il negozio già ipotecato.

Parlando con la moglie salta fuori la storia di Vasìlij, che un tempo faceva il portiere da loro e che Jevghènij aveva corrotto (ben due volte) per testimoniare il falso e salvargli il fondoschiena. Proprio mentre parlano male di Vasìlij, di come sia sempre stato un disonesto, un cattivo soggetto, ricevono una lettera da un uomo misterioso che se ne va subito. Nella busta trovano 400 rubli e un biglietto: “Nel Vangelo è detto: rendi bene per male. Voi mi faceste molto male con la cedola e io danneggiai grandemente il contadino, ed ecco, ora io ho pietà di te. Prendi questi soldi e ricordati del tuo portiere Vasìlij”.

A Jevghènij Michàjlovic e alla moglie vengono le lacrime agli occhi per tanta generosità e gioia per il perdono ricevuto.

18

Nelle celle di penitenza del convento di Suzdàl erano detenuti quattordici ecclesiastici, tutti più che altro per essersi allontanati dall’ortodossia; e là fu mandato anche Isidoro. Il padre Misaìl ricevette Isidoro secondo le istruzioni e, senza parlargli, ordinò di metterlo in una camera separata, come un delinquente importante.

Alla terza settimana Isidoro riesce ad avere un colloquio con padre Misaìl: Fratello, che fai? Abbi pietà di te stesso. Non c’è un malfattore peggiore di te, tu hai offeso tutto ciò che è sacro...

Dopo un mese, Misaìl manda la richiesta di liberazione, per essersi pentiti, non solo di Isidoro, ma di tutti gli altri, e per sé chiede d’essere mandato in un monastero per riposarsi.

19

Sono passati dieci anni dalla falsificazione della cedola. Mìtja Smokòvnikov è un ricco ingegnere. Per un’ispezione in una miniera d’oro in Siberia gli viene proposto di prendere su il detenuto Stjepàn Pelaghèjuskin.

Durante il lungo viaggio Stjepàn racconta a Mìtja la storia della sua vita e di come sia cambiata con quell’ultimo omicidio e il Vangelo.

Ovviamente le sue parole raggiungono anche l’anima di Mìtja che lascia il suo lavoro per comprare una proprietà, sposarsi e mettere su famiglia.

20

Mìtja si riconcilia anche col padre, col quale era da tempo in cattivi rapporti. E il padre si meravigliò, rise di lui, e poi smise di dargli contro e si ricordò di molte e molte circostanze, nelle quali era stato colpevole verso di lui...

No comments:

Post a Comment